Le mie peregrinazioni… - editorivilrazzadannata

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Per una volta – tutte le altre ero sempre andata a Milano o a Pavia per consegnargli le bozze corrette – avevo proposto all’editore di trovarci a metà strada, ad Asti, ma mal me ne incolse.
Sull’autostrada, infatti, mi sono ritrovata di colpo a vivere una situazione simile a quella del film Duel. Ricordate? Il protagonista, David Mann, tranquillo commesso viaggiatore stava compiendo un viaggio di lavoro fuori città quando si era trovato alle prese con una vecchia e gigantesca autocisterna. Nel mio caso, si trattava di una lunga e mastodontica bisarca vuota, che mi aveva superata a tutta velocità ed era rientrata di colpo sfiorando la mia piccola utilitaria e quasi speronandola. Il trovarmi di fianco, a pochissima distanza, quel gigante traballante e rumoroso, che rischiava di schiacciarmi contro il guard rail, mi ha procurato un grande spavento. Sul momento, l’avevo considerata una prepotenza, tutt’altro che rara sulle nostre strade e avevo  frenato per farla allontanare. Ma era ben più di quello. L’autista, infatti, una volta davanti a me, aveva  cominciato a rallentare fino a procedere a passo d’uomo. Il tubo di scappamento dell’automezzo mi scaricava addosso un fumo denso e acre, una puzza che  toglieva il respiro. Però, dato che in quei giorni si leggeva sui giornali di autisti ucraini ubriachi alla guida delle bisarche, che spadroneggiavano a piacere sulle strade quali arroganti sovrani, causando numerosi incidenti, non mi azzardavo a sorpassare.

Alla fine, però, ero stufa di respirare veleno e, anche se consapevole del rischio, ho deciso di ritentare il sorpasso. Quando, con fatica, sono stata all’altezza della cabina di guida, l’autista, che non sono riuscita a vedere, ha dato un colpo di tromba che mi ha fatta sobbalzare tanto era forte. Purtroppo, appena sono rientrata sulla destra, la bisarca ha iniziato una nuova manovra di superamento. Ero sempre più spaventata, mi sentivo in balia di quel folle al volante, che per la seconda volta ha lambito il mio parafanghi. Ho quindi deciso, appena possibile, di lasciare l’autostrada.

Poco oltre, per fortuna, c’era un’uscita. Mi ci sono infilata, sicura di essermi liberata dell’automezzo impazzito, che si trovava davanti a me. Ma quando mi sono diretta verso la stazione di servizio al cui bar pensavo di prendere qualcosa per ritemprami, ho visto, come in un incubo, la bisarca parcheggiata lì davanti. Non c’erano dubbi, era la stessa, la cabina era molto riconoscibile. Ma … da dove era passata? L’autista aveva preso un’uscita contromano? Ero terrorizzata.

Guardandomi in giro, ho visto che poco oltre il piazzale c’era una stradina che si inoltrava in mezzo ai campi. L’ho imboccata in tutta fretta, continuando a guardare lo specchietto. Mi aspettavo di vedere il mostro spuntare dietro di me, come nel film, per arrivarmi addosso e tamponarmi. Per fortuna la strada era libera, ma non avevo idea di dove mi trovassi. Intorno a me c’erano solo campi, case e fattorie. Non c’era nessuno in giro, così sono scesa dall’auto per suonare il campanello di una casa e chiedere informazioni.

Una volta raggiunta la città di Asti, mi sono accorta con orrore che era giorno di mercato e che quindi il piazzale dove pensavo di parcheggiare l’auto era occupato dalle bancarelle. Ho telefonato all’editore per chiedergli dove si trovasse e lui mi ha detto di essere seduto in un bar di fronte alla stazione. Ho quindi cercato un parcheggio in una stradina in zona, ma le mie disavventure non erano finite. Mentre camminavo velocemente verso il bar, tirandomi dietro il trolley con tutte le scartoffie, forse per l’agitazione – avevo le mani e le braccia che mi tremavano fortemente per lo spavento – ne ho rotto il manico. Non mi restava altro da fare che prenderlo in braccio e portarlo così fino a destinazione.

Quando ho raccontato all’editore la brutta avventura che mi era capitata, lui si è limitato a guardare l’orologio e a dirmi che di lì a un’ora doveva essere di ritorno a Pavia per un appuntamento. Mi sono quindi affrettata a sintetizzargli le cose che dovevo dire sulla traduzione, onde evitare di farlo arrivare in ritardo, cosa della quale mi sarei sentita fortemente in colpa. Non ha dimostrato alcuna comprensione per l’infausta vicenda che mi era capitata, ma perché mai avrebbe dovuto manifestare alcuna capacità di capire? Ero stata io a proporre Asti come luogo dell’appuntamento per cui, come dice il proverbio, “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Inoltre, per quanto mi riguarda, sono sempre stata d’accordo con l’opinione di Walt Whitman, secondo cui chiunque non sia rinchiuso in una bara dentro a una fossa nera non debba lamentarsi. Quindi, dato che l’autista della bisarca non ce l’aveva fatta a spedirmi al cimitero, ho cercato di prendere la cosa il più serenamente possibile e di lasciarmela alle spalle.
 
Cara Flora, devo dirti che mi sono sentita molto vicina a te per le ingiustizie che hai subito. Voglio anche dirti che quando paragoni tuo zio Don Pio all’avaro descritto da Walter Scott, il padre di Rebecca che conta una ad una le monete d’oro nella borsa, prima di metterle via senza dare nulla a chi gliele aveva fatte ritrovare, sembri fare il ritratto dell’editore, che per la traduzione del tuo libro mi ha dato le solite due lire, che non sono bastate neanche a coprire il consumo di elettricità del computer. E anche se, come aggiungi poco dopo, è molto piccolo e avvilito l’uomo quando si lascia tiranneggiare dalle passioni che soffocano i suoi sentimenti naturali ed è avvilente averci a che fare, io sono contenta di aver riproposto il tuo lavoro ed aver contribuito, nel mio piccolo, a far conoscere te e le tue coraggiose idee di giustizia sociale per tutti, uomini e donne.

Ti confesso anche che coltivo un sogno. Ho visto recentemente un documentario su Paul Gauguin, tuo nipote. Vi si diceva che del tiranno Don Pio in Perù non è rimasta alcuna traccia, mentre il tuo nome continua a brillare ovunque, in Europa e fuori. La mia speranza è che un piccolo frammento di quel luccichio, malgrado tutto, ricada anche su di me...
 
 
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